Ricordando Vittorio Belleli
Cent’anni fa veniva alla luce, a Trieste, Vittorio Belleli, la prima stella canora
dell’EIAR; con lui, esattamente ottant’anni fa, nasceva la figura del cantante della
radio, destinata a caratterizzare profondamente la programmazione musicale
radiofonica fino ai primi anni Sessanta.
In molti, leggendo i vari profili biografici di Vittorio Belleli presenti in alcuni
dizionari della canzone, si staranno domandando cosa vuol dire che egli è stato il
pioniere dei cantanti della radio e cosa significa quella ricorrente frase che dice
“prima di lui questa figura non esisteva”. È molto semplice. Nei primissimi anni di
attività l’EIAR boicottava la musica leggera; la sua programmazione radiofonica
vantava soprattutto musica sinfonica, romanze, musica da camera e poco altro. Delle
famose canzonette nemmeno l’ombra. A partire dal 1930, venne formata la prima
orchestra di musica leggera allora soprannominata “moderna” della storia della
radio italiana, diretta dal Maestro Tito Petralia e parallelamente, l’EIAR iniziò a
trasmettere in diretta della musica da ballo, dai più prestigiosi dancing torinesi. Le
orchestre la facevano ancora da padrone e i pochi ritornelli che venivano cantati
erano eseguiti dagli stessi orchestrali i quali, a turno e a seconda delle esigenze
canore che ognuno di loro poteva offrire, si prestavano al doppio ruolo di musicista e
cantante.
Nel 1930 Belleli aveva appena iniziato a cantare; si esibiva per diletto, su esortazione
degli amici, al giardino Diana di Milano. Non pensava certo di diventare un artista. Il
suo destino era quello di seguire le orme paterne nella carriera di pellicciaio. E
probabilmente sarebbe stato così se quei famosi amici che tanto lo ammiravano non
lo avessero ingaggiato per una gita a Celle Ligure: viaggio e soggiorno pagato purché
cantasse per loro durante una festa in albergo. E il caso volle che quella stessa sera, in
quello stesso hotel, vi fossero tutti i giocatori della Juventus, i quali, estasiati dalla
sua voce, gli procurarono un’audizione con il Maestro Angelini che all’epoca
trasmetteva in diretta dalla sfavillante Sala Gay di Torino.
L’audizione andò bene e Belleli in breve tempo divenne molto popolare. Angelini
adattò il suo repertorio in modo da esaltare al meglio le sue capacità vocali, la parte
orchestrale divenne metà rispetto a quella cantata (mentre prima superava i tre quarti
del brano), l’imbonitore annunciava “l’orchestra Angelini con il concorso di Vittorio
Belleli”. Era nata la figura del cantante radiofonico. Nel giro di poco le dirette
divennero tre al giorno: la mattina dalle 11.30, il pomeriggio durante il the danzante e
la sera nel cosiddetto “notturno”. Ammiratrici e ammiratori che conoscevano solo la
sua voce iniziarono a omaggiarlo con pdi venti lettere al giorno e con disparati
regali e pegni d’amore: è lo stesso Belleli a raccontare, nel 1977, che un suo amico
ammiratore gli regalò uno splendido megafono illuminato.
Eh sì, perché all’epoca il cantante si esibiva con il megafono. Le sale da ballo non
potevano certo permettersi i microfoni a carbone, allora assai costosi e inadatti per
certe manifestazioni. Quando invece avveniva la diretta con l’EIAR veniva posto un
microfono a carbone in alto, a circa tre metri dal pavimento, al centro della sala, in
modo che potesse recepire i suoni dell’intera orchestra. È scontato che il cantante, per
quanto potesse essere alto e per quanto potesse emettere in maniera potente anche
grazie al megafono, non sarebbe mai riuscito a superare il suono di tutta l’orchestra.
È per questo motivo che Belleli durante le dirette saliva su una scala a pioli, in modo
tale da essere più vicino al microfono e da far arrivare meglio la sua voce. Lo stesso
Belleli ricordava, nel 1970, durante un’intervista rilasciata a Gianfranco Venè:
«Cantavo di lassù, lontano un bel po’ dall’orchestra, in mezzo alla gente che ballava,
sospeso come un muratore o un attacchino, tra le prese in giro dei miei amici che mi
tiravano per i calzoni mentre cantavo e mi facevano barcollare la scala».
E sempre a Belleli spetta un altro primato nella storia della canzone italiana: nel 1933
un tecnico EIAR costruì per lui il primo microfono per esibirsi nelle sale da ballo e
che Belleli inaugurò nello stesso anno, cantando all’Odeon di Milano.
Definito “il cantante confidenziale” o “il cantante dalla voce di zucchero”, il suo stile
era dolce, sussurrato, moderno nel rifiuto di gorgheggi e trilli, che erano un po’ il
biglietto da visita di ogni interprete di musica leggera dell’epoca. Il suo repertorio
spaziava da valzer (Sui monti della Luna) a mazurke (La mazurca di Carolina), da
ritmi un po’ più swinganti (Per te io vivrò, Lambeth walk, Un quartierino sul
grattacielo), a brani sentimentali (Nulla, Tu cosa farai di me?) fino ad arrivare al
tango, genere in cui era considerato un vero e proprio specialista: Arrivederci
bambina, La paloma, Donde estas corazon, Tango di Marilena, Vi vorrei vedere
ancora, Il più bel tango, giusto per citare i titoli più noti.
Nel 1935, però, subito dopo aver preso parte alla famosissima trasmissione
radiofonica I Quattro Moschettieri, la sua carriera subì il primo arresto; e anche in
questo caso i calciatori della Juventus non furono estranei all’episodio. La leggenda
narra che una domenica pomeriggio, Belleli disertò le prove con l’orchestra Angelini
per recarsi allo stadio a vedere la sua amata squadra. Il maestro non sentì scuse e lo
fece licenziare in tronco. Tuttavia, dopo un anno, durante il quale si esibì con
l’orchestra Kramer lanciando la celebre Un giorno ti dirò, i rapporti si riallacciarono
e Belleli tornò nuovamente in seno all’orchestra Angelini.
Questo secondo periodo però non durò molto. Nel 1938 vennero pubblicate le Leggi
Razziali. Per Belleli, ebreo praticante, non c’è più posto tra le file dell’EIAR. Fino a
quando gli eventi bellici glielo permisero cantò sotto falso nome in vari locali di
Torino e di Milano, poi, nel 1942, fu costretto a rifugiarsi in Svizzera, dove finì a
spaccare legna in un campo di lavoro.
Sembra la fine di una grande carriera. E invece no. Belleli fu uno dei pochi,
pochissimi, che nel dopoguerra seppe rinnovarsi, entrando a far parte del primissimo
complesso di Fred Buscaglione. Rifiutando di emigrare in Sud America, come fecero
gran parte dei suoi colleghi del passato, mantenne la sua carriera in controtendenza
ma sempre al passo coi tempi: con l’orchestra di Bruno Quirinetta (con cui si esibì dal
1948 al 1949) inaugurò la Bussola di Focette e la Capannina di Forte dei Marmi. In
seguito divenne la voce del complesso Franco e i G.5, col quale colse numerosi
successi e con cui rimase per quattro anni. Concluse la sua carriera con una
memorabile apparizione al Musichiere condotto da Mario Riva e s’impiegò presso le
Messaggerie Musicali, dove rimase fino al pensionamento.
Si può dire, senza ombra di dubbio, che la sua vita, durata ben 85 anni, l’abbia
passata fra una canzone e l’altra, sempre in mezzo alle note musicali.
Alessandro Rigacci
Album fotografico
Vittorio Belleli canta col megafono.
Belleli al microfono.
Caricature dei componenti l’Orchestra Angelini: Belleli è definito “il cantante pazzo”.
Belleli all’apice della sua carriera.
Belleli, seduto, con Franco e i G.5 al Sherazade di Roma.
Belleli nel 1955.
Franco e i G. 5 (Belleli è il secondo dall'alto).
Locandina.
Belleli con Maria Callas. Quello che si vede accanto a loro è un anziano Beniamino Gigli:
la foto fu scattata a Sanremo, in occasione di un concerto Martini e Rossi il 27 dicembre 1954
(queste ultime precisazioni sono di Francesco Nicola Di Pietro).
Togliani, Ricci, Latilla, Belleli, Otto nel 1954.
Le tombe dei coniugi Belleli