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Pierluigi Baldini
Come ho conosciuto
Meme Bianchi
Meme Bianchi,
nome d’arte di Magda Merope Bianchi
(Porto Ceresio, 26 Aprile 1907 - ivi, 25 Ottobre 2000)
Restauro digitale delle immagini e impaginazione del Curatore
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P
remetto un particolare della mia giovinezza. Mio padre possedeva una
ottantina di dischi, alcuni lirici, ma per la maggior parte di musica leggera, dei
più svariati cantanti del periodo che va da prima della seconda guerra
mondiale fino ai primi anni del dopoguerra. Le condizioni della mia famiglia
non ci permettevano di avere un numero di dischi più consistente. Era però un
lusso anche quel poco che avevamo, tanto che nelle feste, specialmente
quando ci venivano a trovare i parenti, il nostro bel radiogrammofono, un
Radiomarelli che mio padre aveva comprato prima della guerra, faceva da
richiamo per i vicini di casa che venivano da noi per ascoltare da vicino le
canzoni.
In quegli anni del dopoguerra c’era tanta povertà in giro. Si viveva
senza neanche la speranza di un miglioramento. Si tirava avanti cercando di
accontentarsi di quello che c’era. Così io, allora ragazzetto (sono nato nel
‘40), incuriosito da questo prodigioso mistero che destava in me il
grammofono, mi prestavo tutto contento a cambiare dischi e puntine: mi
gratificava l’espressione di apprezzamento che leggevo nei volti della gente
per la canzone, talvolta da me scelta. Mio padre mi spiegò in seguito che il
suono era dovuto alle vibrazioni della puntina, che generavano un campo
elettrico, che poi, amplificato, andava a far vibrare l’altoparlante. La
spiegazione mi convinse, ma se da un lato mi tolse la componente di mistero,
dall’altro mi restò sempre una speciale attrazione per quella stupenda
macchina che era il grammofono e i dischi, che ripetutamente riascoltavo, non
stancandomi mai e cercando di immaginare che volto avessero quei cantanti,
senza però mai venirlo a sapere. Sembrava che quei cantanti provenissero da
un mondo misterioso e lontano che nessuno conosceva. Questi cantanti erano
Corrado Lojacono, Carlastella, Jone Cacciagli, Meme Bianchi, Luciano
Tajoli, Natalino Otto e altri ancora. Mi avvicinavo all’altoparlante e mi
sembrava che questi fossero proprio lì, dietro il grammofono. Ma di tutte
queste voci, devo confessare, di una in particolare ero addirittura innamorato:
la voce di Meme Bianchi. Avevo solo i dischi con le canzoni Giovanottino mi
garbate tanto, La Spagnola, Quando piove con il sole.
Un particolare che voglio ricordare a dimostrazione di quanto una voce
possa avere inconfondibilmente un potere fortemente evocativo. Mi accadde
un giorno, nel prendere un gruppo di dischi, di romperne uno (quello che
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stava sotto). Sentii il triste e inconfondibile rumore del disco che si spezza in
due; andai da mio padre e inventai la scusa: “papà, ce n’e uno rotto”. Sentii
mio padre dire dispiaciuto: “peccato proprio la Lilì Marlène“, ma non me
ne fece colpa. L’avevo ascoltata tante volte e a me sinceramente dispiaceva
forse più che a lui.
Parecchi anni dopo venni a conoscere alcuni collezionisti, che prima
non sapevo neanche che esistessero, e mi misi come loro a cercare dischi nei
mercatini e ad intrecciare con loro scambi di dischi. Riuscii un giorno a
trovare un disco della LiMarlène: era cantato da Lina Termini; sul retro era
inciso Caro papà cantato dalla stupenda voce di Jone Cacciagli. Dissi fra me:
“finalmente ho ritrovato il famoso disco rotto”. Subito a casa lo ascoltai ma
capii che non era quello che avevo ascoltato tante volte da ragazzetto.
Apprezzai di pil Caro pa di Jone Cacciagli per la voce meravigliosa di
questa cantante che sarebbe diventata subito dopo oggetto della mia
collezione. Passò del tempo e un giorno un collezionista mi fece avere una
Lilì Marlène con etichetta rossa. Subito quel colore mi ricordò quello del
famoso disco andato rotto; lessi il nome della cantante: era Meme Bianchi.
Dissi fra me e me: “vuoi vedere che era questo il disco rotto di famiglia?”.
Non appena misi il disco sul grammofono e cominciò ad uscire quella
voce mi sembrò di tornare indietro di trent’anni nella mia vita. Le sensazioni
che provai è impossibile descriverle: mi sembrava di essere tornato agli anni
della prima giovinezza, vedevo la mia casa di Como, il grammofono di allora;
era come se il tempo si fosse annullato. Riprovavo le sensazioni che avevo da
bambino. Sì, la Lilì Marlène di famiglia era senz’altro quella di Meme
Bianchi. A questo può arrivare il magico potere evocativo di un disco!
Certamente noi non siamo aderenti al nostro tempo, in un certo qual modo
siamo un po’ schiavi del passato, viviamo in un tempo non attuale, non
nostro, e ciò che ci attrae è il mondo di ieri. Ma noi siamo contenti così.
La voglia di conoscere Meme Bianchi divenne per me una specie di
ossessione. Un amico collezionista un giorno mi disse di possedere la
registrazione di una serie di interviste redatte da Topo Gigio per conto della
Rai dal titolo Chi ti ritrovo. Venivano intervistati diversi cantanti del passato
fra i quali c’era anche Meme Bianchi. Gentilmente, si offerse di duplicarmi la
cassetta, per avere anch’io una copia della stessa. E qui c’era veramente
Meme Bianchi che parlava. Potevo finalmente sentire la sua voce nel parlare
normale. Raccontava di un fatto curioso accadutole. Un giorno era salita sul
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tram, ma aveva dimenticato di prendere con se il portafoglio: un signore
gentilmente si offerse di pagarglielo lui il biglietto. La Meme ringraziò il
signore per la sua cortesia e disse di essere Meme Bianchi, quella che canta
per la radio. Il signore restò meravigliato in quanto la immaginava bionda e
piccola di statura, mentre la Meme Bianchi che aveva appena conosciuto era
alta e mora.
Dal “Canzoniere della Radio”, n. 55, 1° Marzo 1943, p. 29
.
Un giorno alla Ricordi di Milano trovai una eccezionale riedizione dei
successi di alcuni famosi cantanti del passato. Ad ogni cantante era dedicato
un disco microsolco con diverse canzoni; fra questi c’era anche la Meme (due
dischi erano dedicati a lei). Sulla copertina del disco figurava una stupenda
foto: un grande primo piano del viso. Sul retro della copertina, oltre ad altre
foto più piccole, vi erano alcuni cenni biografici. Venni così a sapere che la
cantante era di Porto Ceresio, che il suo vero nome era Magda, che aveva
sposato il maestro Mariotti. Il padre era spedizioniere doganale (attività
sempre conservata) e nelle note biografiche si diceva che l’artista era tornata
al vecchio mestiere paterno.
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Mi dissi: “devo andarla a trovare, voglio parlare con lei delle sue
canzoni, dirle quanto sono belle, sentire direttamente da lei pareri, pensieri,
ritagli della sua vita”. Fu così che un bel giorno, presi una giornata di ferie e
andai a Porto Ceresio. È una località vicina a Varese che si affaccia sul lago
omonimo. In fondo alla strada del lungolago c’è subito il confine svizzero.
Entrai in un bar e chiesi alla signora al banco se per caso avesse notizia di una
cantante dei tempi passati di nome Meme Bianchi e che era di quei posti.
Subito la signora mi inforche la Meme Bianchi era ben conosciuta a
Porto Ceresio, ma abita a Milano e che per maggiori informazioni potevo
andare all’ufficio di spedizione e parlare con la ragazza che ci lavora. Mi
indicò dove era l’ufficio e laggiù mi recai.
Giunto all’ufficio vi trovai una ragazza gentilissima dai grandi occhi
azzurri, messi forse in maggior evidenza da un paio di occhiali con lenti
molto spesse che ingigantivano ancor più quegli occhi. Si chiamava Flavia ed
era l’impiegata della casa di spedizioni. L’ufficio abbastanza piccolo e la
presenza di una sola persona mi fecero subito pensare ad una attività assai
modesta, condotta con criteri tramandati nel tempo. Mi confermò che la
signora Meme Bianchi viveva a Milano; mi disse di andarla pure a trovare,
cosa questa che le avrebbe fatto certamente molto piacere in quanto ci tiene
moltissimo ad essere ricordata”, fugando con questo ogni mio timore per una
visita non gradita. Mi procurò l’indirizzo ed il numero di telefono e con la
promessa di andarla ad incontrare ci salutammo.
Ne parlai con il mio amico Claudio Scorza, pure lui appassionato
collezionista, ed anche lui mi parve assai desideroso di conoscerla. Provvide
lui a contattare la Meme, che ben lieta di conoscerci ci concesse un
appuntamento.
L’abitazione era vicinissima a piazza del Duomo, abitava in via
Giardino al numero 1: un sontuoso palazzo appartenente ad una
Assicurazione. Il cancello di entrata era enorme, tutto a grandi cerchi di
colore bronzo, il citofono corrispondente all’abitazione era il numero 18. Per
giungere all’abitazione si doveva salire con l’ascensore al quarto piano,
quindi si doveva percorrere un piccolo corridoio per poi salire con un altro
ascensore di altri due piani (tutto questo avvenne prima della metà degli anni
Ottanta).
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Il palazzo, col suo portone d’ingresso, dove abitava Meme Bianchi a Milano.
Giungemmo alla sua abitazione. La porta era sbarrata da un cancello
che sostituiva una porta blindata. Subito porta e cancello si aprirono e ci
apparve una gentilissima anziana signora, di statura alta (benché leggermente
ricurva, potevo stimare alta sull’uno e settantacinque), elegantemente vestita,
sorridente, leggermente truccata. Ci fece accomodare in un grande salone.
Alle pareti erano appesi diversi pregevoli quadri, che la Meme disse essere
stati dipinti da suo padre. Capelli ondulati castani, certamente tinti. Gli occhi
anch’essi castani ma chiari. Una cosa che notai era la dentatura, un po’ scurita
ma forte, integra, il che mi fece subito pensare ad una donna di costituzione
veramente sana e forte, ad una donna che da giovane doveva essere stata
veramente molto bella. Nel suo sorriso si poteva leggere il piacere di
conoscerci. Era una curiosità motivata dal suo grande desiderio di sapere se
ancora fosse conosciuta ed apprezzata, cosa questa che non si stancherà mai
di chiedersi e chiederci nel corso di tutti gli incontri successivi.
L’ingresso dava su un grande salone con finestre che guardavano la
parte alta del Duomo. Ebbe a dire la Meme: “quando guardo dalla finestra e
vedo la Madonnina... cosa c’è di più bello?”. Il primo incontro andò su come
la avevamo rintracciata. Raccontai le peripezie fatte, la mia gita a Porto
Ceresio per incontrarla. Questo fatto le piacque molto, tanto che più volte mi
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richiese di queste peripezie: forse non sapeva di essere tanto desiderata anche
da persone che erano venute tanti anni dopo. L’osservazione quasi ossessiva
era: “sono stata io la vera regina della canzone, tanto è vero che anche adesso,
a distanza di anni, col solo ascolto dei miei dischi, anche chi non mi ha
conosciuta negli anni del successo riesce ad apprezzarmi tanto e poi quale
altra cantante dopo tutti questi anni viene ancora ricordata co dai suoi
ammiratori?”.
Auspicava un incontro con Enzo Biagi, che diceva di conoscere e che
ogni tanto vedeva per la strada, perché forse avrebbe potuto organizzare un
programma inteso a riproporre i cantanti del passato. Ci parlò di lei e della sua
vita. Ci disse che il suo vero nome non era Meme, ma Magda. Tanto parlò e ci
raccontò dei momenti della sua esistenza, quanto quasi poco o niente di suo
marito, del maestro Mariotti, grande fumatore di pipa: mi ricordo che ebbe a
dire che bastava che si mettesse al pianoforte e subito veniva fuori un nuovo
motivetto.
Meme Bianchi col marito, il M° Mario Mariotti.
Ci fece conoscere la figlia Marcella, ci disse che avrebbe voluto
inserirla nel mondo artistico, tanto che le fece studiare recitazione, a Roma.
Ma la cara Marcella, molto chiusa nel carattere, forse non aveva innate le doti
della madre. Di fatto gestiva a Varese una casa di spedizioni.
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La Meme ci raccontò quando fu inviata a Berlino nel ’36 in occasione
delle Olimpiadi. Nella sfilata lei rappresentava la Lombardia. Ci mostrò le
foto della sfilata e commentò che bisognava vedere Berlino quanto era bella,
una città che non era fatta per la guerra. Di questa parentesi germanica non
mancò di fare accenno, in quanto a bella prestanza fisica, non mi ricordo a
quale alto gerarca del Reich. E di questo fascino germanico doveva essere
stata colpita, forse inconsapevolmente, tanto che ebbe a parlare con un certo
senso di ammirazione di Zarah Leander, la grande artista cinematografica di
quegli anni che ebbe a incidere alcuni dischi. E proprio per imitare la
Leander, forse, intese ad emularsi con una voce più profonda e sentimentale,
disprezzando quelli che invece sono i suoi veri capolavori: canzoni cantate
con la sua meravigliosa, unica, inconfondibile voce limpida, chiara e fresca di
giovane ragazza. Ma la Meme non era di uguale parere; sentendo i suoi
capolavori quasi rideva non riconoscendosi in quella vocina. Invece aveva
tanto a cuore alcuni pezzi cantati con l’accompagnamento al pianoforte col
maestro Bergamini.
Zarah Leander (Karlstad, 1907 - Danderyd, 1981).
Quasi mi dimenticavo. La Meme nel parlare spesso si esprimeva in
dialetto milanese. Quando però l’argomento era di una certa importanza ecco
che passava ad esprimersi in un perfetto italiano da far invidia ad una
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presentatrice (chissà quante volte sarà stata oggetto di interviste da parte di
giornalisti, fotografi, ammiratori e tutte le volte sono certo avrà saputo ben
disquisire).
Non mi sarei mai permesso di chiedere l’età alla Meme, ma una volta
mi mostrò, posta a soprammobile, una medaglia che Porto Ceresio le aveva
rilasciato in occasione del compleanno: la prima data mi parve fosse il 1907.
Amava ricordare il viaggio in tempo di guerra sulla nave “Grecale” per
accompagnare i nostri soldati. Ricordava i grandi festeggiamenti ricevuti dalle
truppe.
Era il 30 aprile del 1984 quando al teatro Nazionale (qui a Milano)
venne indetto uno spettacolo con la partecipazione di diversi cantanti “di un
tempo”. Era stata invitata anche Meme Bianchi, che non ebbe alcun
imbarazzo a presentarsi e cantare alcune sue canzoni. Il mio amico Claudio
Scorza si incaricò a fare da tassista (aveva una macchina pappariscente e
quindi più adatta; io possedevo una Mini Minor, meno indicata per la
circostanza). Ricordo che venne invitata anche Betty Curtis, che però mi
sorprese quando vidi che terminata la sua parte se ne andò via velocemente,
come seccata, tanto che dedussi: “forse si sarà offesa in quanto assimilata a
tanto vecchiume ritenendosi lei una giovane cantante ancora di moda….”.
Dirigeva il tutto Remo Remigi e qualche voce bisbigliava: anche lui avrà la
sua età…”. Al termine, dopo tanti applausi, ebbi l’occasione di vedere nelle
prime file in platea l’onorevole Craxi, sorridente, che stringeva molto
cordialmente le mani a quanti gli si affollavano attorno. Fu in quell’occasione
che ebbi modo di stimare il grande charme” di quell’uomo politico: alto,
elegantissimo, gentile, tanto affabile, con a fianco la moglie che, anche lei
molto elegante, in piedi assisteva quasi indifferente.
Ricordo che a casa della Meme, per poter registrare le canzoni dei suoi
dischi, avevo portato un giradischi ed un registratore. Sistematicamente
provvedevo poi a duplicare le registrazioni per la signora e per il mio amico
Scorza. La cosa piaceva molto alla Meme, in quanto ormai sprovvista di un
giradischi a 78 giri. Aveva così modo di ascoltare le sue canzoni dal suo
moderno Hi-Fi, leggendole da musicassette. Il riascolto era sempre seguito
con molto interesse dalla Meme, che spesso commentava le vicende legate
all’incisione. Spiegava che in sala di incisione la cera destinata ad essere
incisa doveva essere mantenuta col calore di alcune lampade ad uno stato di
fluidità uniforme e adatto perché la puntina di incisione potesse crearvi i
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solchi della canzone. Ricordava che per la canzone Banane gialle si tentò per
6 volte invano. Una volta per un difetto dell’orchestra, un’altra a causa di un
grumo della cera, altre volte per altri motivi: “si era già deciso di smettere
quando si disse: facciamo un’ ultima prova, la settima. E quella volta andò
bene”. Così usci il disco con Banane gialle. Non mi ricordo quante volte
sono andato a casa della Meme per queste registrazioni. Un grande baule
conteneva i dischi che la Meme aveva gelosamente conservato.
Ricordava la Meme come fu scoperta e come iniziò la carriera di
cantante. A Porto Ceresio venne un giorno un tizio da Milano, che avendo
saputo della sua voce, volle ascoltarla. Fatta una specie di provino, fu invitata
a Milano presso la Fonit dove però era presente come prima donna Ada Neri
(altra stupenda voce: proveniva dalla lirica e si era dedicata alla musica
leggera per motivi economici: un sicuro e pronto guadagno). Alla Fonit la
Meme incise alcuni dischi, uno anche assieme ad Ada Neri. Sapendo la Meme
che alla Fonit si sarebbe trovata con una concorrente, disdettò il contratto con
la Fonit con la scusante che i genitori di vecchia mentalità non vedevano
bene la professione di cantante. Il signor Trevisan, proprietario della Fonit
(Fonit è un acronimo di Fonografia Italiana Trevisan), le disse allora: “spero
signorina di non trovarla cantante in altra casa discografica concorrente”. E
ben aveva previsto il signor Trevisan perché “una settimana dopo la piazza
Duomo era piena di striscioni della Odeon che inneggiavano a Meme
Bianchi”. Mi disse la Meme che purtroppo fu proprio lei a decidere il declino
di Ada Neri e di questo se ne dispiaceva, riconoscendo all’Ada Neri la
peculiarità di una bella voce, particolarmente adatta all’incisione.
Va però detto che non di declino si sarebbe potuto parlare per l’Ada
Neri che, dopo aver inciso circa 200 dischi, passerà a svolgere il ruolo di
prima donna soprano nella compagnia di Agesilao Ferrazzano, l’italo-
argentino definito “il mago del violino”. Del resto Ada Neri proveniva da
compagnie di rivista (Ermelli e altre). Ma di Ada Neri parlerò in altra pseudo-
biografia dedicata alla stessa.
Ci teneva Meme Bianchi a che le facessi una dedica nella quale
esprimessi la mia ammirazione per la sua voce. Benché non abituato a fare
dediche, dovetti cedere: la dedica iniziava e terminava con la canzone cantata
ovviamente da lei Come le rose (“...son tornate a fiorire le rose / alle dolci
carezze del sol…”), canzone tra quelle che maggiormente prediligo, della
quale peraltro non possedevo e non possiedo tuttora il disco: me l’aveva
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registrata dalla radio l’amico Michele Bisceglie qualche tempo prima. La
Meme fu entusiasta. Forse era per lei un documento da far ascoltare anche ad
altri, per dimostrare che come lei anche altri la ritenevano la vera “regina
della canzone italiana”.
Un giorno che l’andai a trovare (forse una delle ultime volte) mi fece
vedere la sua camera da letto: ai piedi del letto aveva fatto spostare il famoso
cassone dei dischi e dei ricordi… Sopra vidi la foto di un neonato. Era suo
figlio, nato morto. Non mi aveva mai detto di aver vissuto una tale dolorosa
esperienza, e la Meme mi confessò che questa disgrazia era forse dovuta alla
grande paura che ebbe in quel periodo. I fascisti l’avevano infatti sospettata di
avere legami col nemico, il che sarebbe stato possibile per il fatto che,
essendo lei di Porto Ceresio, a due passi dalla Svizzera, avrebbe potuto avere
facilmente contatti con i partigiani. “Forse è stata questa grande paura di quei
momenti” mi disse testualmente “…mentre io non c’entravo niente!”.
Spesso rammento con nostalgia quelle ore passate in compagnia della
Meme, nel grande salone seduto in poltrona ad ascoltare le sue canzoni e a
disquisire con lei su quale di esse fosse la più bella.
Links:
http://www.ildiscobolo.net/BIANCHI%20MEME%20HOME.htm
http://www.trio-lescano.it/canzoniere_della_radio/biografie_di_artisti.pdf (p. 8)
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Da Assi e stelle della Radio (1941).
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A Pier Luigi Baldini carissimo
e vero amico mio
Meme Bianchi
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